Il mostro è in un pacco di caramelle, nel bicchiere di latte. E’ al nostro fianco, nell’idea di condivisione che ci hanno tramandato, nel pigiama o nel maglione che indossiamo o che vediamo indossare alle persone che abbiamo scelto di frequentare, amare. Il confine è più che mai sottile tra essere amorevoli o criminali; è un equilibrio delicatissimo che finisce per confondersi. Le due direzioni, il Bene e il Male, appartengono agli Uomini. Ampiamente spiegate anche da Platone, nel mito della biga alata, i due cavalli, bianco e nero, devono essere guidati dalla ragione per un giusto bilanciamento. Quando il gioco si fa duro, però, i duri cominciano a giocare. Non ci sono prove schiaccianti per incolpare Alberto Stasi, e ci sono tutte. Il ragazzone dagli occhi color del cielo, è uno schiaffo brutale alla decenza, alla sana ribellione, alla giusta ammissione degli errori commessi, diventati enormemente grandi e per lui ingestibili. Condannato a sedici anni per aver assassinato la sua fidanzata, Chiara Poggi, sette anni or sono, dentro casa della stessa. Il rifugio amorevole e sicuro in cui avevano condiviso giornate intere, abbracci, sesso, libri da studiare, panini da addentare. Quell’uomo schivo ed affettuoso al contempo, che programmava forse un futuro e una famiglia con la sua Chiara, e che, lucidamente, decide di farla fuori perché da lei scoperto nei giochi erotici da computer. La mente si distorce, si mescola rabbia, vergogna, anche paura di non essere perdonati. Ed ecco che il fidanzato perfetto, con endemiche inclinazioni all’efferatezza, può trasformarsi nel più cinico assassino. Estrema arroganza, incapacità di affrontare gli sbagli, di farsi capire. Un sano dialogo mancante tra i due, evidentemente mai esistito o impiegato e nutrito ipocritamente.Tutto a monte: umanità, comprensione, progetti, complicità. Realtà cupa, sconvolgente. Siamo costantemente seduti su una bomba, e appare terribile il suo silenzio prima di scoppiare. Colpevole. Fino a prova contraria.